La scorsa settimana sono rimasto a casa qualche giorno con mia figlia. A mia discolpa voglio dire fin da subito che stava male. Aveva la febbre. Piuttosto alta. Che volete che vi dica? No, non ho fatto i boyscout. Giocavo a calcio e tutto il resto. Ero normale. Ma, boh. Forse non esser stato soggetto di attenzioni particolari da parte dei preti da piccolo. Le botte ricevute durante l’infanzia. Insomma, non so come sia successo ma quando si è svegliata con gli occhi lucidi e la temperatura di una fornace, ho sentito qualcosa dentro. Come tutto ciò, per qualche ancestrale e sconosciuto motivo, avesse a che fare in parte anche con me.
Non sono sempre stato così. Per molto tempo sono stato anche una persona seria. Insomma, lievemente intransigente e misantropo quanto basta. Nulla di che. Fino a poco fa non avevo mai pianto difronte a un film, per la sofferenza di persone lontane da me o per la mancata qualificazione ai mondiali (anche perché fino a poco fa ci si qualificava ai mondiali. Con regolarità).
Infine, avrei voluto rispondere al “non mi sento tanto bene” con un “eh, già. Si vede sì. Tornerò verso le sei sta sera. Vedi di migliorare”. Ma poi. Sono rimasto a casa con mia figlia.
All’inizio non è stato nemmeno troppo pesante. Voglio dire, quando la febbre non le permetteva altro che stare stesa a letto a riposare. Quella giornata nella quale la mancanza di forze non lasciava spazio a nulla e men che meno alla sua immaginazione né lontanamente alla possibilità di annoiarsi fissando il vuoto. Ecco, non è stato tutto terribile con mia figlia a casa. Trovo esagerati quei genitori che si lamentano. In uno stato di semi incoscienza, i figli sono più che gestibili. Ma che dico gestibili?! Sono godibili. Siamo stati anche bene. Ce la siamo spassata.
La cosa è peggiorata quando ho scoperto che sarebbe migliorata. Lei, intendo. In quanto a stato di salute. Beh, questi piccoli bipedi hanno il vizietto di migliorare pian piano. Cioè, non è che ti dicono “papà, oggi starò di merda tutto il giorno ma domani mi sveglierò fresca come una rosa e mi potrai portare a scuola”. Noooo, vi piacerebbe! Cosa hanno pianificato queste canaglie? Stanno un po’ meglio. Iniziano a sentire nuovamente dei bisogni fisiologici. Fino a lì tutto bene. Non fosse per il fatto che per soddisfarli sembra abbiano bisogno dell’aiuto di un adulto. Ma soprattutto nessuna remora nel richiederlo. Insistentemente. E a identificare in voi, sì in voi, il destinatario e la vittima. Poco conta se si finge un attacco di ipoacusia improvvisa, se fate loro trovare un biglietto sul comodino il quale spieghi che durante il sonno avete deciso di iniziare la preparazione per le olimpiadi del gioco del silenzio (e di prendervela molto seriamente) o se fate tutto male affinché arrivino a pensare che sia meglio che facciano da sé (ha detto mio cugino che quella tattica funziona dall’adolescenza. Prima no). Insomma, hanno bisogno di voi. O in vostra assenza, di uno schermo che li intrattenga a scapito della loro futura capacità di raziocinio.
In definitiva, si riduce tutto a un ricatto emotivo subdolo del tipo “se non mi curi starò sempre peggio. E nel mentre”, ed è qui dove convincono i più, “ti farò soffrire”.
E noi giù. Pur di non soffrire, o di provare di ridurre al minimo le pene, misuriamo loro la febbre. Leggiamo storielle da far venire un’orchite elefantiaca e prepariamo caraffe e caraffe di tè con zenzero, miele e limone (che poi…ma quale cazzo di principio attivo ci sarà mai nell’acqua calda con limone e miele? Voglio dire, i rimedi della nonna non è che funzionassero meglio dei farmaci moderni. Erano il meglio che c’era in quel momento, forse. Ma oggi, santo dio, abbiamo inventato le droghe. Le farmaceutiche hanno rovinato mezzo mondo, forse supportato indirettamente guerre finanziarie e non solo, creato nuove dipendenze assieme al fomento deliberato della paranoia nei confronti di nuove patologie. Sono riuscite a far estinguere più di una specie e a sfruttare a più non posso diverse risorse naturali. Questo c’è e ci sarà. È una fortuna e ne siamo grati ma non è tutto oro ciò che luccica. Non possiamo solo ricevere. In cambio di tutto sto ben di dio ci chiedono solamente di assumere, quando non ci sentiamo bene, un loro preparato che probabilmente ti rimette in piedi nella metà del tempo dell’acqua calda di nonna. Facciamo loro sto favore. Eddaiiii). Iniziamo ogni nostra frase con un “tesoro”, “cuore”, “amore” pronunciato a denti stretti mettendo a seria prova la nostra risposta insulinica.
Il tutto lo facciamo più per noi che per loro. Sì, lo facciamo per dare del materiale di supporto al nostro avvocato difronte alla giuria nel caso decidessimo, in fine, di mettere in pratica anche solamente una minima parte di ciò che ci viene in mente in questi giorni.
L’ultima fase è quella nella quale, ormai completamente venduti ad uno squallido senso del dovere, andiamo fino in fondo con questa manfrina e ci decidiamo a tener la bimba a casa ancora un giorno solo perché la sera prima il termometro segnava 39 (che in fahrenheit non sarebbe nemmeno febbre).
Ecco, quel giorno, l’alba nella quale scoprirai che tua figlia sta bene, lo scoprirai troppo tardi per portarla a scuola.
Al tuo risveglio, dopo esserti domandato in che momento tu abbia cambiato la suoneria della tua sveglia per la Cavalcata delle Valchirie, troverai ad attenderti in piedi, proprio difronte al tuo letto, Robert Duvall a petto nudo con il suo bel cappello da cowboy calcato in testa che ti dà il buongiorno con un: “mi piace l’odore del napalm di mattina”.
Si perché quel giorno, ah quel giorno…trascorrerà nel mezzo di una grandinata di domande del tipo “cosa facciamo?”, una bufera di “a cosa giochiamo?”, dei marosi impervi di “quando finisci?”. Insomma, verso le 10:30 speri che il cambio climatico acceleri di un fattore pari al milione nei prossimi venti minuti. Non solo perché vorresti finalmente poter gridare “Greta, non ci avevi capito un cazzo” ma soprattutto perché ti piacerebbe nemmeno morire, ma che la tua specie si estinguesse. Alle 11 stai cercando in YouTube un tutorial del tipo “suicidio rapido ed efficace per padri con troppo senso del dovere” e alle 12:30 ti ricordi che, se nel piatto che stai preparando per pranzo metti un “quanto basta” di qualsiasi prodotto che trovi sotto al lavello, tutto potrebbe attenuarsi e terminare quanto prima.
Verso pomeriggio o già sera, tua figlia candidamente, come fosse Bambi che esce da una radura e spalanca sorpresa i suoi ingenui occhioni, ti fa “papà, domani vorrei andare a scuola”. Come fosse lei la perseguitata. Come fosse lei quella che ha sofferto negli ultimi giorni. Nemmeno un carnefice ignaro dei propri atteggiamenti in seguito a una lobotomia riuscirebbe ad essere così distaccato nei confronti di quanto abbia fatto passare alla propria vittima. E lei ti fa: “papà, domani vorrei andare a scuola”? Insomma tu, aggrappandoti a quella luce che inaspettatamente si è accesa in fondo ad un tunnel che ti sembrava eternamente cupo, avvistando terra dalla scialuppa di salvataggio dopo mesi d’infame naufragio, avendo avvistato un’oasi quando ormai gattonavi in mezzo al deserto, per poco non le rispondi: “vorresti? Vorresti andare a scuola, un cazzo! Domani fili a scuola a calci in culo”.
Ma poi questo non lo dici. A dire il vero, nemmeno pensi tutto ciò. E se è per questo, figurati se lo scrivi. Non sei assolutamente il tipo.